martedì 7 ottobre 2014

COME LA CIOCCOLATA SU UN VASSOIO PIENO DI MERDA

BLACK CROWN INITIATE - THE WRECKAGE OF STARS

Bene, finalmente un gruppo giovane che prende spunto da altri gruppi che piacciono ai giovani e fa qualcosa di giovane.
Giovane non nel senso che grida al microfono cose insensate, spara giri di chitarra a cazzo d'uccello e tenta di fare blast beat pensando che il quattro quarti sia un panino del McDonald. Giovane nel senso che ha la carica, le idee, la genuinità e la voglia di proporre qualcosa di nuovo.
The Wreckage of Stars contiene tutte le possibili influenze che un gruppo death metal moderno dovrebbe avere, dai giri di chitarra gonfi in stile djent, il growl cavernoso, i trivelloni alla Decapitated, riff melodici in stile neoclassico e qualche ritornello cantato in pulito. Qual è allora la differenza con gli altri triliardi di gruppacci che provano a fare questo mischione? Semplice, i Black Crown Initiate prendono spunto dai loro gruppi e riescono a creare un suono personale costruendo dei pezzi complicati, ma allo stesso tempo ben strutturati in composizioni ordinate, dove nessuna parte è buttata via o scontata.
I ritornelli in pulito sono tutt'altro che banali e cercano linee melodiche particolari, mentre gli strumenti passano dall'aggressività più cruda a parti più intricate, sfruttando anche alcuni interessanti passaggi acustici e intrecciando le due chitarre in soluzioni convincenti. Riuscire a fare qualcosa di innovativo al primo LP non è roba da tutti, e direi che siamo assolutamente sulla strada giusta con la quinta ingranata. Se decidete di dedicare le vostre orecchie a questo disco, vi consiglio di non trarre subito conclusioni dopo il primo ascolto e di scoprire le varie sfumature dei pezzi con calma senza giudizi affrettati.

Dopo aver scritto addirittura una mezza recensione, posso tranquillamente dire che questo gruppo è come della cioccolata su un vassoio pieno di merda, difficile da distinguere, ma molto gustosa se viene trovata.

Oh, poi se non vi piace potete sempre andare a mettere la testa in un alveare. 


giovedì 2 ottobre 2014

ROCCIA E ROTOLA

AIRBOURNE - RUNNIN' WILD

Si ho dovuto mettere il titolo di uno dei dischi perché se no mi perdo tra i miei stessi post, ma in realtà va bene qualsiasi roba abbiano fatto sti tizi, anche perchè non è che conoscano più di cinque accordi o ritmi messi in croce. Ma non è questo il punto della situazione, il punto è Joel O'Keeffe.

Vedete: lui è molto più rock e molto più death metal di un sacco di gente. Mentre noi prendiamo la chitarrina, saliamo sul palchetto della nostra periferia e facciamo il nostro death metal accuratamente studiato nel minimo dettaglio, con i tempi dispari, le cose strafighe, complicate, incazzate e tecniche davanti ai nostri due amici e alle altre band della serata, Joel O'Keeffe suona davanti a un sacco di gente tre accordi, canta con una voce da pazzo malato, fa assoli di sola pentatonica completamente schizzati e come se non bastasse, si arrampica fin su alle luci del palco e da lì inizia a spettinare la chitarra manco fosse il barbiere di Siviglia.

Per chi non lo ha ancora visto, eccovelo qui:


Se solo perde la presa un secondo questo qui va a fare rock in una padella, ma a lui che gliene frega e sopratutto: la morte adora questo tizio, l'adora più di quanto non adori voi che vi mettete le maglie dei Marduk.

Ok, tutto questo era per dire che gli Airbourne sono rock, sono metal, sono death metal. Insomma, cosa c'è di più death metal di un tizio che fa un assolo mentre è abbarbicato all'impalcatura di un palcoscenico? Se cade muore, semplice.

Come la loro musica d'altronde: i loro dischi o li mettete in macchina, o vi piacciono gli AC\DC, i Kiss o ste robe così oppure vi risulterebbero più inutili di un cavatappi alla festa dell'acqua tonica. I testi parlano di donne, birra, fuga dalla polizia eccetera eccetera, fanno cagare più dei testi death metal dai quali non è che differiscano poi tanto, forse solo la parte delle donne che i death metallari si sa, preferiscono siano morte, ma suvvia... E' sempre amore no?

Beccatevi pure sto video con Lemmy e guardate le espressioni facciali di O'Keefe.


Ora potete anche tornare a cliccare sui siti porno.


mercoledì 1 ottobre 2014

UHE' PEPPINIELLO! APPICCIA LA MOTOSEGA!

CANNIBAL CORPSE - SKELETAL DOMAIN

Eccoli di nuovo qui a parlarci di gente che viene maciullata, sbranata viva da cadaveri ambulanti e poveri corpi martoriati e violentati allo stesso tempo.
I Cannibal Corpse rievocano tutte quelle robe schifose che a noi bambinoni cresciuti a pane e budella ci piacevano e continuano a piacerci!

Voglio dire:

Un video dei Cannibal Corpse con gli zombie, un tipo con la motosega e un sacco di sangue? Chitarroni a trivella mostruosi, rutti nel microfono alla velocità della luce e assoli sfilaccia tendini, uniti a qualche ritmica intricata e a suoni di chitarra devastanti.

Ok, dopo un po' di anni mi avete convinto cari Salma Antropofaga, sono con voi di nuovo e mi godo questo vostro inno all'horror splatter e alle dosi di violenza fisica insensata!

Se questo disco non vi piace tornate a vedere quella cagata magistrale di Walking Dead, non avete passato il test dell'età, siete bimbi di adesso e siete stupidi.

FIRE UP THE CHAINSAW!


E poi c'è sto tizio che legge i testi più disgustosi del Death Metal come se fossero opere Shakespeariane, ma cosa aspettano a dargli una motosega d'oro come premio?


C'ERI ANGHE TU A KATHMANDU? NO? E NON T'INGAZZERE CHIU'!

DYING OUT FLAME  - SHIVA RUDRASTAKAM


Aveva ragione Lino Banfi, se non sei a Kathmandu non hai ragione di essere davvero ingazzeto, ma se invece sei proprio di Kathmandu?

Be allora è meglio se metti su un gruppo Indu-Shiva-Death Metal. Davvero, si fa Death Metal anche a Kathmandu!

Insomma, mi state prendendo per i fondelli vero? Voglio dire, avete presente quando ci si imbatte in quel disco ultra particolare che fa rabbrividire anche i metallari incalliti dalle giubbe di pelle e le toppe coi nomi delle band? Bene eccovelo qui! Solo il paese d'origine di questa formazione e il nome di questo disco dovrebbero bastare a far rabbrividire qualsiasi persona dotata di buon senso e fuggire urlando con le mani tra i capelli anche solo alla proposta di affrontare un ascolto simile.

Voglio dire: il disco inizia con una specie di canto da film Bollywoodiano per poi scalciare come un mulo con blast anti-gravità, cori cerimoniali e chitarrazze diaboliche alla Hate Eternal! Non guarderò mai più il pakistano o l'indiano sotto casa mia con gli stessi occhi, dopo aver scoperto i terribili riti di sacrificio alla dea Shiva! Anche se forse Indiana Jones avrebbe dovuto già darmi qualche buon indizio...

Faccio i miei complimenti a questa formazione sia per il coraggio, sia per la capacità di mischiare insieme questo delirio di suoni senza farlo risultare il solito pastone terrificante. Insomma, avete presente i Lykathea Aflame (nome copiato e incollato, figuratevi se mi ricoravo come si scriveva)? Siamo più o meno su quel livello di follia compositiva, intermezzi acustici che vengono spezzati in due da accelerazioni furiose, coretti rituali sinistri e trivelloni chitarristici devastanti.

Non posso crederci che questo disco mi stia piacendo, non voglio neanche sapere di cosa parlino i testi perché ho paura che potrebbe venirmi voglia di strappare cuori a mani nudi e addentarli.

Per farla ancora più breve:



RE-MANUFACTURE

DECAPITATED - BLOOD MANTRA

Sono tornato!

Vedo un po' di palle di fieno girare qui davanti a me e colpi di tosse dovuti all'imbarazzo, ma... Non me ne frega niente, sappiate che taglierò ancora di più la lunghezza delle recensioni, ormai sono vecchio e si sa che con il tempo arriva la saggezza, o nel mio caso la pigrizia. Ma non temete, riuscirò a rendermi odioso anche in poche righe gettando tutta la merda possibile sui gruppi che vi piacciono e osannando quelli che vi fanno schifo. Per esempio un sacco di gente si lamenta che i Decapitated non sono più gli stessi e si lamenta e non è mai felice, e c'è la crisi e di qui e di li e uh la la gradisce un croissant mademoiselle Grenouille?
Ma basta, questo filosofeggiare sul death metal che si legge in tante riviste, avete scocciato. Il death metal è:

-Massacro sonoro
-Rutti nel microfono
-Tecnica
-Groove o blast beat a seconda dell'umore
-Testi superflui che si leggono solo i ragazzini

Fatemici pensare bene, Blood Mantra ha queste quattro caratteristiche e in più ci aggiunge una bella ripassata del capolavoro dei Fear Factory, in realtà scopiazzando un paio di ritmiche qui e li, ma insomma chi se ne importa? Non penserete davvero di ascoltare qualcosa di originale da una band che suona questo genere da quando voi ancora stavate cercando di capire come impugnare la carta igienica per fare in modo di non insozzarvi la mano. Sinceramente, mi era piaciuto anche Carnival is Forever che era una batosta sonica e questo Blood Mantra non è da meno. Certo non è niente che fa gridare al miracolo, ma stare a cercare i vecchi Decapitated in una formazione del tutto nuova che ha subito una perdita non indifferente mi sembra proprio crudele... Insomma neanche io arriverei a tanto! Che crudeltà disumana, sono davvero allibito di fronte a tutta questa indicibile spietatezza nei confronti dei poveri death metallari! Vergogna!
Secondo me le cose stanno così:

Vi è piaciuto Organic Hallucinosis? Vi piacciono i Fear Factory e i vecchi Meshuggah? Siete dei ragazzini che impazziscono per il gay-djent?

Ascoltatevi Blood Mantra.

Anzi, beccatevi il lyric video sotto il P.S. e sappiate che l'andazzo del disco è questo.

P.S.

Non li metto più i voti, sono roba da stronzi.


mercoledì 2 ottobre 2013

YIPPIE-KAYO-YEY

Kayo Dot - Hubardo

A qualcuno saranno sicuramente sfuggiti gli illustri sconosciuti Maudlin of The Wheel, gruppo passato in sordina tra la sfilza dei fenomeni degli ultimi anni ruggenti della musica pesante che tutti noi veri duri da birra e baffi ascoltiamo. Ma si, mentre tutti quanti sbavavano davanti all'orrida pappagorgia di Mikael Akerfeldt e al bel piercing sul naso di quell'ubriacone di Warrell Dane o una grandissima parte degli amanti del prog sognava notti di amore folle con Daniel Gildenlow, i Maudlin of The Wheel giravano di soppiatto tra vari siti che li appoggiavano come The BNR Metal Pages, trovando favori nella scomoda metà dello spietato panino della critica e dell'altrettanto volubile e confuso (e quando mai) pubblico di giovani in cerca di suoni nuovi.

Nati dalle ceneri di questi ultimi Maudlin of The Wheel, i nostri Kayo Dot proposero qualcosa di ancora più sperimentale, distanziandosi dal misto tra death metal e progressive settantino, andando a formare un suono onirico che alternava momenti di connessione spirituale e musicale alla natura, sfociando in parti più pesanti che strizzavano l'occhio alla scena più estrema del nostro caro metallo.

Sicuramente non roba per ancora piange Hanneman e che sta già tremando all'annuncio dello scioglimento degli Slayer, ma i Kayo Dot hanno vinto il posto nel cuore di parecchi amanti del nuovo e della sperimentazione. Per non parlare della nuova razza di metal-hipster che va girando adesso e che ovviamente come ogni hipster che si rispetti, ama tutto ciò che non può capire.
Non che io capisca o neanche voglia pretendere di sforzarmi a capire l'incredibile tecnica e capacità compositiva dei Kayo Dot, so solo che Hubardo è il loro capolavoro.
Dopo Choirs of The Eye (un disco che personalmente ho consumato), i nostri hanno tirato fuori dei lavori di dubbia fattura, tendendo davvero troppo all'intellettualismo e alla fricchettonaggine, trasformando il loro carattere in un paio di brutte idee da fighette del cazzo. Intrecci di sassofono, chitarre soffuse, atmosfere strane... Si, tutto bello, ma se le composizioni hanno menso senso di un clitoride a un matrimonio tra un culturista e uno steroide gigante, allora direi che di questi ultimi lavori ne possiamo fare un ottimo uso come racchettoni da spiaggia.
Fortunatamente per noi però, i Kayo Dot sono rinsaviti e dopo un paio di riunioni all'insegna del fungo allucinogeno, hanno deciso di tirare fuori questo Hubardo che è un disco davvero fantastico.
A quanto pare, la musica all'interno del CD vuole raccontare la storia di un meteorite che cade su un pianeta e della vita che si forma dall'impatto, il tutto ovviamente nella maniera più onirica che si possa immaginare. Ovvio che se una storia del genere l'avesse messa su un qualsiasi gruppo brutal\death le cose sarebbero state narrate con un paio di blast beat e dei mid tempo, ma i Kayo Dot con il loro stile riescono a creare una vera e propria colonna sonora a metà tra il prog, la musica classica e il metal. L'atmosfera rilassata e misteriosa si alterna con momenti più vivaci come nella Maudliniana (si può dire?) Zilda Caosgi o nella bellissima Passing the River, mentre si viene colpiti anche da autentiche perle di fattanza da droghe leggere come The First Matter. Ovviamente come tutti i dischi del genere, analizzare le tracce singolarmente serve quanto una grattugia al posto della carta igenica, Hubardo racconta una storia e ci riesce benissimo. Questa è musica che crea nella mente delle immagini progressive, una sorta di film\documentario sulla creazione di un pianeta, o forse semplicemente una ripresa statica sulle stelle. Certo, questo lo facevano già i Pink Floyd, ma di certo poi trovarvi di fronte a un blast beat ogni tanto o a una sfuriata in growl\scream non è roba che gli inglesi potevano immaginare di fare. Devo menzionare anche l'elevatissima produzione che riesce a dare grande dignità a tutti gli strumenti e alle voci grazie a suoni cristallini e riverberi profondi.

Questo non è certo il disco che vi ascolterete per caricarvi la giornata, ma siamo su livelli artistici e musicali veramente alti. Non lo consiglio assolutamente ai metallari più incalliti che cercano la tecnica bestiale, sweep picking, gravity blast e tutte quelle diavolerie, ma direi che se c'è anche un solo briciolo di amore per il progressive e per tutto ciò che ha la voglia e le palle di sperimentare, Hubardo è un disco che qualsiasi appassionato non potrà davvero farsi sfuggire. Ovviamente a livello di popolarità questo non porterà i Kayo Dot a fare da headliner ai maggiori festival del metal mainstream (ma quanto ci piace sto termine a noi?), la maggior parte del pubblico li troverà noiosi e i nuovi metallari del tempo probabilmente si faranno un paio di sonnellini già dalle prime note del disco andando poi a sorridere come beoti davanti all'ennesimo "capolavoro" (se si potesse virgolettare di più lo farei) dell'ennesima grande band death-core. Ma ehi, quella è musica già morta, questo disco invece avrà vita lunga, sarà davvero eterno come la musica. E guardate che ho scritto musica.

Voto:

10 più una grattugia

sabato 21 settembre 2013

GORGUNAUTI

Gorguts - Colored Sands 

Porca vacca ragazzi, finalmente ce l'ho fatta a tornare su questo schifo di blog a scrivere le mie irritanti e sconclusionate recensioni. Adesso mi applaudirò per non aver lasciato il blog a marcire come la roba che avete lasciato a marcire nel frigo spento quando siete andati in ferie.
Sapete la novità? Farò delle recensioni sempre più corte, tanto ormai c'è davvero poco da dire sulla musica che sta uscendo ultimamente nel campo del rumore e del fastidio sonoro.
Insomma, se un disco fa cagare, fa cagare e basta. E' come pretendere che una purga possa evitarci la scomoda e imbarazzante fuga al bagno, se uno se la prende deve per forza passara da quel momento prima di liberare il suo corpo dagli indesiderati oggetti che si sono formati nel suo intestino.
E nel caso dei bei dischi come questo Colored Sands dei Gorguts? Lo so che adesso tutti i ventenni con un minimo di gusto musicale impazziscono per il post e hanno sbavato come oranghi di fronte a una pornostar travestita da banana gigante, ma sapete cosa? I Gorguts hanno sempre fatto sbavare anche il sottoscritto, quindi per una volta tanto mi trovo d'accordo con i timidi metallarini in erba.
Tra l'altro questo disco non me lo aspettavo per niente, pensavo che Luc Lemay si fosse rinchiuso in una baita in Canada in meditazione come i vecchi santoni e visto che i Negativa mi avevano convinto meno di un venditore di fon pelato, ero ormai convinto che i Gorguts fossero definitivamente andati.
Chi legge questo blog, sa quanto sono contrario ai "grandi ritorni", ma in questo caso devo davvero ficcarmi la tastiera nel di dietro e stare zitto, perchè questo Colored Sands è una goduria. Francamente pensavo di trovarmi davanti a una copia degli Ulcerate, visto che ormai sono loro il nome di punta quando si parla di avanguardia nel campo estremo, ma qui l'antico maestro Lemay è riuscito a tenere unito il suono della band e a portarlo su campi sicuramente diversi da quelli calpestati in passato. Il disco si contraddistingue dagli altri lavori dei Gorguts per una certa apertura dei suoni che rimangono pur sempre bizzarri e ricercati, ma che abbandonano le tinte di nero di Obscura e colpiscono più per la propria potenza, avvicinandosi più a From Wisdom to Hate e riprendendo da lì il proprio cammino. Questo disco riesce a essere ricercato, ma allo stesso tempo di una potenza mostruosa. E' come essere picchiati a sangue da un intellettualoide secchione che stanco di essere sempre preso in giro dai compagni e rifiutato dalle ragazze decide di darci dentro con la palestra per superare la sua condizione di incompreso. Evidente il cambiamento della struttura dei pezzi che in Colored Sands assumono una forma più intricata che si sposa più con il progressive che con la forma canzone, i pezzi si sviluppano lentamente, hanno una vita propria che alla fine esplode in un orgasmo di suoni, il tutto accompagnato dalla voce di Lemay tra l'altro è al top, il suo personale scream lamentoso e viscerale è sempre un piacere da ascoltare, specialmente nei momenti più catartici del disco, dove il santone si esprime al meglio. Altra marcia in più al lavoro la da sicuramente l'ottima prestazione di quel mostro di John Longstreth che qui si è potuto cimentare in robe molto complesse e intricate, sfoggiando tutto il suo stile e la sua tecnica.
Degna di nota anche la produzione delle chitarre, molto cristallina e comprensibile, sono davvero molto contento che il gruppo abbia preferito suoni aperti e chiari senza scadere in un delirio di distorsioni.
Unica pecca di questo CD è la traccia strumentale orchestrata da Lemay, uno spiacevole intruso che spezza senza motivo il flow del lavoro, se proprio volevano metterla avrebbero dovuto piazzarla alla fine, anche perchè non c'entra assolutamente niente col resto del disco.

Detto questo devo dire che sono estremamente soddisfatto di questo CD, un lavoro che ha molto da dare e che segna il ritorno di uno dei migliori gruppi death-metal di sempre.
   
9 più gli occhiali di Luc Lemay