Karnya – Coverin’ Thoughts
Chi segue questo blog sa bene che il sottoscritto se ne frega di nascondere vigliaccamente le proprie opinioni personali
sulle sue recensioni. Magari i più dei media lo ritengono un oltraggio poco
professionale alla figura del critico, ma cos’è il critico se non una persona
qualunque?
L’unica cosa che divide il critico dalle altre persone è la capacità
di mettere il suo parere su un foglio bianco, altro non c’è. Perciò io con
grande rispetto per tutti i lettori e con incredibile disdegno per tutto ciò
che è norma, legge e comune idea me ne frego di nascondere questo:
I Dream Theater non mi piacciono per niente.
Perchè dico questo? Perchè sebbene la maggior parte dei
dischi recensiti sul blog facciano parte del filone estremo del metal, a me il
prog piace parecchio e potrei elencare una sfilza di band che si sono cimentate
in questo difficile genere migliori di quei pupazzi.
Lo potrei fare sulle dita delle mie mani e che mi spuntasse
un undicesimo dito (sulla sinistra magari) per i Karnya, band prog di Roma, che
con il loro Coverin’ Thoughts mi ha davvero colpito.
Di solito il prog metal è un genere che dato la difficoltà
finisce per essere parecchio derivativo con dischi che non fanno altro che
divenire banali altari per glorificare i mostri sacri, senza cercare un minimo di
personalità nel vortice di virtuosismi di tastiere, chitarre, tempi dispari e
vocalizzi incessanti.
Ebbene i Karnya ci dimostrano che invece è possibile creare
qualcosa di personale se dalla parte dei musicisti c’è l’inventiva. La prima
cosa che mi ha colpito di questo lavoro è che non si tratta del solito prog
melodichino da gattina impaurita, ma c’è dell’incazzo serio. Tracce come “Stronger”
(la mia preferita), l’opener “Flooding Blood” ed “Ego’s End”, alzano la potenza
sonora su ritmi elevati, dove il cantante si dimostra capace di passare da
parti energiche e aggressive ad altre più rilassate, davvero notevole.
Di solito nei dischi prog o il cantante riesce a crearsi un
proprio stile o finisce sempre col cantare con la solita vocina stridulina che
proprio non sopporto. Bè non temete, i Karnya hanno dietro al microfono un tipo
che vi rivolterà l’intestino, roba da far impallidire anche alcuni flebili e
mosci simil-cantanti death.
Le tracce sono varie, ma non dispersive, ci sono pezzi più
dritti e altri un po’ più complessi.
La title track e “Wait4More” sono due composizioni
davvero fantastiche che attingono dalla concezione che il prog non dev’essere
per forza un mega intruglio di parti senza senso e che può essere strutturato in
forme canzoni che funzionano ed emozionano (Fates Warning docet). “Where the Silence Remains” e la fantastica “A Paraphreniac
Menticide” invece si sviluppano su temi più complessi, sicuramente più
difficili da seguire e un filo più caotiche del resto delle composizioni,
votate più alla tecnica strumentale che alla forma canzone.
Parlando di tecnica, siamo su livelli spaziali,
roba che gli assoli di chitarra e tastiera stanno mandando in tilt le varie
sonde della Nasa. Alcune volte le parti forse sono un po’ troppo tecniche, altre volte riescono a svilupparsi con un gusto incredibile (l’assolo di “Stronger”
per esempio), ma d’altronde visto il genere è difficile per i musicisti non
finire in fasi ultra-tecniche. A livello ritmico la band tende a mantenere il groove dei pezzi alto,
cosa molto importante. Basta sentire il ritmo in levare di “Silver” per rendersi
conto di come ai Karnya piaccia muoversi e far muovere con la propria musica.
La produzione riesce nel miracolo di far discernere tutti
gli strumenti in modo uguale, forse perdendosi un po’ sull’ottima batteria, ma
sono minuzie pignole che comunque non rovinano l’ascolto.
Forse l’unica cosa che posso dire contro questo prodotto è
che nelle tracce più lunghe la band tende a perdersi in alcuni cambi di
tempo un po’ ostici che fanno un po’ da freno all’energia sprigionata dalle
tracce più compatte che davvero rompono più teste di un Sudoku costruito da
Hawkings.
I Karnya arrivano come un fulmine a ciel sereno, roba che se
il prog sembra morto, questa è la scossa che fa gridare al Dr. Progenstein “E’
VIVO! E’ VIVO!” e la cosa più bella è che arriva dall’Italia.
Perciò il mio consiglio a tutti gli amanti della buona
musica in generale è di ascoltare questo gruppo, seguirlo e supportarlo, senza
starsene sempre lì ad aspettare sbavando un nuovo disco dei Dream Theater, quella
è roba vecchia che anche quando era giovane non era poi così fresca.
Ora di andare avanti, se no che cazzo di progressive è?
Voto:
9 più l’undicesimo dito
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