venerdì 22 marzo 2013

IL LUPO PERDE IL PELO, MA NON LE OCCHIAIE


Hypocrisy – End of Disclosure 

Devo dire la verità, gli Hypocrisy non sono mai stati uno dei miei gruppi preferiti e li avevo un bel po’ persi di vista da quando Peter Tatgren aveva deciso di mettere su quel side-project chiamato Pain. Ho anche il primo disco di quella roba, ma francamente l’ho sempre trovata troppo swedish-emo-soffro-e-risoffro e quindi convinto che gli Hypocrisy fossero un gruppo ormai morto li ho lasciati perdere. Tra l’altro al tempo dello Swedish Death Metal mi ero già fissato con tutta la roba più gutturale, brutale e assolutamente schifosa che si poteva concepire, trovando il sound scandinavo alquanto insulso. Sempre preferito la roba nordica più grezza, quella derivata dal crust e dal punk, nata nelle zozze sale prove di Stoccolma, ma sono gusti e comunque il melo-death ha il mio rispetto.

In un modo o nell’altro però, gli Hypocrisy sono riusciti fuori sotto il mio naso e quello di altri con questo End of Disclosure che è un album di tutto rispetto, un po’ attaccato alla vecchia maniera, ma che comunque riesce a trovare i suoi spunti innovativi. 

Il disco va immediatamente al sodo con la title track, un gran pezzo attrezzato con melodie quasi epiche, una lenta marcia apocalittica che si abbatte sull’ascoltatore senza fare troppi complimenti, se il death metal fosse la musica più ascoltata al mondo questo pezzo sarebbe in cima alle classifiche come singolo del momento.  Da qui in poi la chitarra di Tatgren sarà il martello che inchioderà tutte le tracce di End of Disclosure nel vostro cervello. Episodi come “Tales of Thy Spineless” e “United We Fall” con il loro tiro mostruoso e un paio di stacchi veramente notevoli  non mancheranno di far sventolare tutto il rozzume old-school che potete avere dentro. In contrasto con queste due, ci sono “The Eye” e “44 double zero”, dei pezzi in mid-tempo tipici della scuola svedese che si lasciano poi andare su dei ritornelli davvero memorabili. 

Con “Hell is Where I Stay” invece si va quasi sul doom-death, la traccia spezza un po’ il ritmo del disco e si distanzia un po’ troppo a livello stilistico dal resto del prodotto, rimanendo lì sola soletta come l’ultima volta che avete dormito con gli amici e avete russato tutta la notte.  Fortunatamente la qualità si riprende con “Soldier of Fortune”, un pezzo dal groove ipnotico che stacca poi su un paio di riffoni da  e un bellissimo stacco melodico che ci accompagna fino alla fine. Un altro buon episodio arriva con “When Death Calls” che praticamente ha tutto ciò che si è sentito, parte veloce, ritmo in mid-tempo e ritornello dalla melodia epica. La traccia si mette su un livello leggermente inferiore alla media del disco, ma comunque fa la sua porca figura. 

Il disco si chiude come è iniziato: in modo epico. “The Return” è un macigno di pura disperazione tipicamente svedese che su alcuni versi mi ha ricordato gli Amon Amarth, vista l'atmosfera un po' viking. Il pezzo è dotato anche di un coro che crea un sottofondo davvero piacevole facendo di questa traccia un episodio molto riflessivo e che riesce a dare una chiusura davvero degna di nota all’intero prodotto.

La produzione è su livelli molto alti, a parte l’ottimo lavoro fatto da Tatgren sulla chitarra e sulle tastiere, anche la sezione ritmica martella: la batteria ha il classico riverbero svedese, non si scosta molto dai pattern classici, ma quello che fa lo fa davvero bene; il basso possente e gonfio, riesce a dare un’ottima base alle chitarre e a potenziarne l’effetto. 

L’unica cosa che non mi piace in alcuni punti e che comunque non mi è mai piaciuta è la voce di Tatgren, specialmente sulle linee vocali usate per le strofe, ad ogni modo non guasta di certo l’ascolto sebbene molto spesso cada dietro al resto degli strumenti diventando un ronzio difficilmente identificabile.

Questo End of Disclosure mi ha sorpreso, sicuramente un buon ritorno della scuola melodica svedese che lentamente si sta perdendo, ma che con questo ultimo disco degli Hypocrisy ha dimostrato di voler ancora combattere contro il gigante americano che le ha ormai rubato l’anima. 

Voto:

8 più della sofferenza

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