Enslaved – Riitiir
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E dato che devo davvero riprendermi, ho deciso di impegnarmi
con un gruppo di facile ascolto, lineare e tranquillo: gli
Enslaved.
Ovviamente sono sarcastico, gli Enslaved non sarebbero di facile ascolto neanche a un cadavere di un sordo decapitato la quale testa, riposta nella bara insieme al corpo, sia stata privata delle orecchie che sono state poi gettate in qualche fiume e mangiate da qualche pesce un po' troppo curioso che poi è stato pescato, cucinato alla griglia e mangiato da una chiassosissima famigliona mediterranea durante il matrimonio del primogenito.
Devo dire la verità, non ho sbavato come un prete di fronte ad un catalogo di
prenatal quando ho saputo dell’uscita del loro nuovo disco Riitiir. Più che altro perchè non sono un gran fan degli Enslaved e poi il nome...
Riitiir! Sto cercando in tutti i modi di trattenermi, credetemi, non voglio essere irrispettoso come un rospo a una festa di
mosche, ma non posso non dirlo! Non insultatemi o runici amici, io ignoro l’antica
lingua vichinga, ma questo nome mi sembra come il suono di uno spasmo
intestinale.
Sapete quando dovete andare a fare la cacca, ma dovete trattenervi
perché magari proprio in quel momento state parlando con una ragazza che vi piace
e magari lei vi sta raccontando di un sacco di cose delle quali dovete fingervi
interessati e sentite quel peso caricarsi sul vostro ventre. Allora cosa fate?
Sorridete e cercate di tagliare corto con gentilezza, nella speranza di poter
poi tornare a parlare con lei dopo l’incontro con il water, ma non potete
proprio, perché lei non fa altro che sorridervi e parlare. Allora lo sentite,
lo stomaco che ormai pieno cerca di tenere il più possibile ciò che non vuole
più: Riitiir!
Chiedo scusa, ma io sono un rozzo bifolco scribacchioso e
non riesco a trattenermi come il tipo davanti alla bella ragazza. Riitiir!
Cosa dire? Se conoscete gli Enslaved saprete che non
ascolterete un disco black metal. Insomma questo disco di black metal ha
davvero poco, qualche scream qui e li e qualche atmosfera un po’ più dark, ma
per il resto direi che come consuetudine, la band ha continuato sulla strada
della sperimentazione.
Spesso questa cosa porta a dei pessimi risultati, come
per gli Opeth o per i Daniel Of Salvation, ma devo dire che fortunatamente gli
Enslaved sono riusciti a tenersi in piedi.
Lo dico subito, questo è un disco molto difficile.
Sicuramente verrete colti di sorpresa dalla quantità di voci pulite nel disco,
usate specialmente per i ritornelli, cosa che non alleggerisce di certo
l’ascolto dato che le tracce sono lunghe e si intermezzano tra lineari melodie
interessanti e parti più sperimentali, con tempi dispari e parecchi spunti
psichedelici.
La opener “Thoughts Like Hammers” coglie di sorpresa, con la
sua furia iniziale e lento incedere in mid-tempo aggressivo, dove si alternano
voce in scream e pulito che poi stacca con gran classe su una parte presa
direttamente dal prog degli anni 70, per andare infine sul ritornello della
pezzo, un’ottima progressione melodica con una voce trasportante. Ovviamente
non parlo di melodie banali, parlo di un flusso di chitarre, un fiume che
scorre senza ostacoli, una voce che accompagna soave quasi a voler scavare
nell’intimo dell’ascoltatore. Superlativo, ma allo stesso tempo incredibilmente
ostico, il modo in cui gli Enslaved hanno intrecciato queste idee non è
assolutamente facile da assimilare, anche perché non esiste che possiate
sentire delle parti di chitarra “convenzionali”, il tutto è assolutamente
legato alla sperimentazione e al tentativo di non rendere il tutto banale.
“Death In The Eyes Of Dawn” è un lento
incedere intervallato dalla voce in pulito che come nella prima traccia si fa
intima accompagnatrice dell’ascoltatore, per poi passare su una parte che torna
sugli accordi dissonanti usati dal gruppo nei progetti passati. Si cambia un po’
il ritmo con “Roots of the Mountain” che inizia alla grande staccandosi dal
lento incedere dei pezzi precedenti per tornare sul leit-motiv del disco: la
voce in pulito su parte melodica. Anche qui non veniamo delusi, la voce
trasporta e la progressione di chitarra è di ottima fattura e un ottimo groove
e si passa a degli stacchi progressive che sono sempre graditi.
Dopo le prime tracce la struttura cambia un po’: nella title
track non troviamo più il ritornello in pulito, ma uno scambio tra parti più
aggressive e più melodiche che riescono a far filare la traccia in maniera
ottima, sebbene ci siano dei ritmi non proprio facili e ovviamente delle
chitarre bizzarre.
La mia traccia preferita del disco è “Storm of Memories”, un
inizio davvero particolare, un insieme di suoni uniti insieme in un unico viaggio
siderale e psichedelico che a metà della traccia viene interrotto dall’alternarsi
di blast beat e parti più lente, ma quello che sorprende è come il pezzo muti
completamente la sua struttura da un momento all’altro.
Il disco si chiude sul delirio di “Forsaken”, davvero una
mattonata nelle meningi per la struttura assolutamente poco amichevole del
pezzo. Si inizia con un piano stortissimo che poi va subito su una parte
aggressiva che poi ovviamente va su una sorta di parte spaziale quasi sludge
che sembra presa direttamente dai Neurosis, ma questo perché gli Enslaved si
saranno fumati persino il ghiaccio dei fiordi. Il tutto termina con poche
desolanti note e una voce roca che chiude il tutto nella solitudine più totale.
E allegria!
Questo è sicuramente uno dei dischi più difficili che siano
usciti ultimamente. Lasciate perdere le parti in pulito, se pensate che vi
faciliteranno l’ascolto vi sbagliate più di un venditore di riviste porno a una
riunione di non-vedenti. Certo, vi libereranno dalle complicate strutture dei
pezzi, ma poi vi ci ributteranno dentro senza pietà lasciandovi completamente disorientati.
Sapete cosa? Gli Enslaved sono degli stronzetti e per questo li rispetto. Al
primo ascolto vi sembrerà tutto tranquillo e facile, perché la voce in pulito è
davvero gradevole, ma dopo un po’ inizierete a non capirci più nulla di quello
che sta succedendo. Sarete così disorientati che potreste aspettarvi che una
talpa vi regali una bussola. D’altronde le tracce sono sulla lunghezza
media di nove minuti e questo non facilita di certo l’ascolt, come non lo
facilitano gli accordi usati, i ritmi, gli stacchi e la diversità dei pezzi. Lo
definirei come un disco progressive degli anni 70 italiani messo in musica più
pesante e ostica.
Devo dire la verità, questo disco mi ha mandato in tilt, non
voglio fare il classico intelligentone che se la crede dando voti alti solo perché
c’è della sperimentazione. Per un cazzo. Questa è stata una delle recensioni più toste che ho fatto, per apprezzare bene il disco bisogna
ascoltarlo parecchio, pensate a un dolce con un cuore di calda cioccolata, ma
ricoperto di pietra calcarea. Dovrete mordere a fondo e rompervi i denti prima
di poterlo assaporare, poi anche con i denti rotti al massimo potrete usare la
cannuccia che vi darò dopo il voto di questo disco. Ovviamente è stata usata da me ed è tutta sbavata, ma sappiate che è l'unica cannuccia che c'è in giro, quindi non fate gli egoisti e passatela anche voi ai vostri amici!
Conclusione rapida: questo è uno di quei lavori che non si
finiscono mai di apprezzare anche dopo anni e anni.
Cowabunga!
Voto:
10 più la mia cannuccia usata (fatela girare!)
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