Dying Fetus – Reign Supreme
Eccomi qui tornato dopo una settimana di lavoro a menare
sferzate e manate sulla testa a tutto il mondo del metal. Di manate sulla testa però è meglio non tirarne a quel
pelatone di Gallagher, il capo dei Dying Fetus.
Allora lo metto subito in chiaro:
War on Attrition e Descend Into Depravity sono passati
inosservati al sottoscritto. Sembrava che la band avesse perso il tocco del
passato trovato nello splendido Stop At Nothing. Non erano più i vecchi
ghepardi riffaroli sweepponi incazzati dei tempi d’oro.
Ah la vecchiaia è una brutta bestia. Prima sei lì a
registrare pezzi come “One Shot One Kill” e dopo boh, sei a casa tua sulla
sedia a dondolo e non ti viene neanche un riff buono in mente. Le tue
composizioni si sfaldano, non hai più idee e pensi se sia il caso di appendere
la chitarra al chiodo. Poi ti tocchi la testa pelata e pensi che vorresti
uccidere il tuo amico che per lo scorso Natale ti ha regalato un set di
pettini.
Non va bene, non può finire così. Sei ancora giovane
dopotutto, la perdita dei capelli non è un sintomo di vecchiaia, bensì di
saggezza… Questo però non vale se non li hai mai avuti.
Ad ogni modo la cosa più evidente è questa: Gallagher si è
incazzato perchè ha scoperto che le cure anti-calvizie sono delle truffe e quindi per sfogarsi ha ripreso le redini dei Dying Fetus che finalmente sono tornati con un disco a dir poco mostruoso.
Reign Supreme è un titolo alquanto azzeccato per una band
estrema longeva come loro, un titolo che fa capire ai ragazzini sbarazzini e ai
vecchiacci senza lacci (dovevo assolutamente fare una rima, scusatemi) che i
sovrani sono tornati e non l’hanno fatto semplicemente per pagare la cura di
Cesare Ragazzi a Gallagher.
Inizio con il dirvi subito una cosa che vi lascerà senza
parole. Gli alieni esistono, anche le mutazioni genetiche, gli steroidi, i
bigfoot e gli uomini delle caverne e la cosa più assurda è che tutte queste
cose sono in una persona sola: Trey
Williams, il nuovo batterista del gruppo.
Non so da quale canile l’abbiano tirato fuori mentre
abbaiava e ringhiava, scuotendo la gabbia e facendo un rumore assurdo, voci
dicono che sia stato allevato da una famiglia di tirannosauri, l’unica ancora
in vita. Altri dicono, bisbigliando timorosi, che si sia mangiato un gorilla
vivo mentre prendeva a calci nel culo un leone. Dicono che abbia preso lezioni
di batteria da Chuck Norris e con questo direi che ho detto tutto.
Pitecantropo, non ci sono altre definizioni. Pesta come un
orango dopo che ha afferrato la testa di uno stupido bambino che si è
avvicinato troppo alla gabbia, fa delle rullate che Jason Rullo dei Symphony X ha deciso di
cambiare nome in Jason Grullo e fa andare il doppio pedale a velocità così alte
che a furia di distruggerne sta pagando l’università, la casa e la macchina a
tutti i dipendenti della Pearl Drums.
Potrei andare avanti per interi paragrafi su costui, il vero
motore di questo disco, ma non posso togliere merito al lavoro di chitarra e
basso di Gallagher e Beasley. Riffoni
come non se ne sentivano da Stop at Nothing intervallati con attacchi di sweep
picking perfettamente inseriti tra una mazzata e l’altra, parti hardcore e slam
di una cattiveria disumana, un suono di chitarre perfetto per il genere e un
basso che sfonda più casse toraciche di una nascita di massa di larve di xenomorpho.
Non penso ci sia una singola traccia del disco che non mi piaccia, sono tutte
una mazzata assurda che viene messa in chiara evidenza da un’ottima produzione
che anche se ogni tanto aiuta (specialmente negli armonici di “Devout
Atrocity”) riesce a rendere il suono molto naturale. Le voci poi sono un totale
attacco di maialite acuta, dei veri e proprio porcelloni d’allevamento, la voce
da scrofo (non esiste, ma non me ne frega un cazzo) di Gallagher si alterna con
quella da purgone di Beasley creando un duetto mostruoso, più malvagio di
quello tra Mina e Celentano (ma quello è malvagio perché c’è Celentano).
Davvero un grande ritorno per uno dei gruppi più longevi della
storia del metal estremo, i miei complimenti a Gallagher per aver saputo
ritrovare l’antica furia che sembrava perduta oltre ad aver attraversato l’Amazzonia
tra mille pericoli per reclutare quella bestia del suo batterista. Ovviamente
questo disco dei Dying Fetus è un disco dei Dying Fetus, quindi non aspettatevi
robe strane, sperimentazioni o cambi di registro. Sono mazzate, mazzate,
mazzate, mazzate, mazzate, mazzate e ancora mazzate. Così tante mazzate che le
mazze di tutti i tipi (da baseball, ferrate e le mazze e le panelle) hanno
scioperato per giorni dopo l’uscita di questo disco. Basta, non potevano dare
più mazzate di Reign Supreme.
Unico punto negativo: l’inizio di “Revisionist Past”. Che
cazzo è? Yngwie Fetusteen? Fortunatamente il pezzo poi ha più tiro di un tanga
che si fuma una sigaretta, ma quell’inizio è proprio orrido, inutile e alquanto
stupido. Vabbè, la vecchiaia si sa, fa brutti scherzi.
Quindi, la questione è semplice:
Se vi piacciono i Dying Fetus ascoltate il disco.
Se non vi piacciono i Dying Fetus ascoltate il disco.
Voto:
9 più un vecchiaccio senza laccio
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