Ved Buens Ende – Written in Waters
Ci sono momenti della propria esistenza dove si scopre che
il nero non va più.
Non ci si può più vestire solo di nero, non si può più bere
il caffè nero perché se no fa male alla digestione, non si può vedere sempre
tutto nero, tifare per la Juve, l’Inter o il Milan, non è possibile che non si
sappia chi è Franco Nero, che si dice “nero” e non “negro” perché è male
educazione (chiedetelo ai Watussi), che non è vero che se sei nero sei bravo a
pallacanestro, che ci sono dei bravi rapper bianchi e degli ottimi metallari neri e che non è tutto nero ciò che piace alle pornodive.
Insomma basta con questo nero, vogliamo smetterla? Perché ai
metallari piace così tanto il nero?
Non me lo spiego, eppure il metal è una
musica colorata e rumorosa, tutt’altro a che vedere con il nero, dovrebbe
sprizzare di colori sanguigni e purpurei invece di ridursi sempre al nero.
Tutti neri sti ragazzi metallari, neri come il carbon! Neanche gli Ottentotti
erano così impiastricciati di tali oscure tinte e devo dire la verità, ci sono
alcuni di questi metallarotti nerotti che andrebbero presi a cannonate… Ma
sapete come la penso ed è inutile che in ogni post io vi sventagli le palle con
la mia crociata contro l’ammerigandetzmerdacore moderno, quello di cui voglio
parlarvi in questo post è Written in Waters, un autentico capolavoro dei Ved
Buens Ende, gruppo che molti definiscono Black Metal.
Ecco i Ved Buens Ende con il Black Metal hanno davvero poco
a che fare, se non qualche sonorità sparsa qui e lì. Scordatevi i blast beat e
le atrocità vocali proposte dai satanassi microfonati, scordatevi le melodie armoniche,
le sinfonie diaboliche e le tastieriste ciccione.
Written in Waters non è
niente di tutto questo, bensì un malato incrocio tra la crudeltà del suddetto
nero genere, la complessità del progressive e la disperazione del doom, il che
ci porta a complessità ritmiche eseguite su tempi lenti, a chitarre molto
aperte e dalle distorsioni malate che ci fanno immaginare locali pochi
illuminati in giorni di pioggia, magari poggiati su desolate lagune.
La voce è
un sussurrare beffardo che quasi deride il mondo e le sue crudeltà e pur
facendo parte, sorride amaramente alle sciagure di tutti i giorni, al passare
inesorabile del tempo ed alla freddezza dalla quale siamo avvolti. Raramente si
va su ritmiche veloci e su parti cantate con una voce gracchiante (simile a
quella dei fantastici Inquisition), come nella stupenda traccia “Carrier Of
Wounds”, ma il resto del disco si attesta su ritmi pacati e riflessivi, basta
sentire la traccia iniziale “I Sang For The Swans” per rendersi conto di cosa
ci aspetta. “Coiled in Wings” potrebbe tranquillamente essere la colonna sonora
per una corsa furiosa in una tempesta, una furia di accordi aperti che ci
sferzano in continuazione mentre cerchiamo riparo dalla minaccia temporale.
Qui
il cantante si lascia andare ad un coro freddo e funereo, quasi un piangere per
un qualcosa di mai trovato, un deviato canto liturgico perso tra le pagine di
capitoli gettati tra le fiamme, incredibilmente toccante nel suo criptico
isolamento. Come non rimanere colpiti dalle melodie di “Autumn Leaves”, dove
veniamo piacevolmente accompagnati da una voce femminile, un triste balletto
tra lapidi e foglie cadenti, molto più gotico di tante “gothic band” che amano
definirsi tali solo per i loro merlettati costumi.
Non saprei come definire questo disco se non come la
rappresentazione musicale di un romanticismo decadente, pronto a dare spazio
alle fredde figure e numeri del modernismo, un evoluzione della mente ed un’involuzione
dell’essere. Sentitevi la chiusura di "Remembrance of Things Past", una manica di musicisti tristi ed ebbri della loro stessa solitudine che si lanciano in una grottesca improvvisazione, mentre melanconiche prostitute li guardano dai tavoli, ridendo della stupidità del mondo e della vita stessa.
Questa è musica fatta come si
deve, una maniera di intendere un genere aggressivo e violento come il metal e
inserirlo in un contesto più riflessivo. Potrei contare davvero pochi gruppi
che ci sono riusciti (non ditemi i Cynic perché NO, NO e NO) e i Ved Buens Ende
sono tra loro.
Non mi piace molto il termine "avanguardia", mi ha sempre rievocato qualcosa da barboso intellettualoide intento a strofinarsi il mento, coperto dai suoi occhieletti falsi, la sua sciarpotta colorata ed il suo basco posticcio, una figura che il più delle volte prenderei volentieri a schiaffi per la propria falsità, ma devo dire che per questo gruppo farò un'eccezione perchè hanno prodotto un lavoro che forse verrà riscoperto tra un bel po’ di tempo,
quando si capirà che il metal non deve essere per forza tutto grugno e
violenza.
Dico tranquillamente che questo è uno dei migliori dischi
che io abbia mai ascoltato.
Voto:
10 più.
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