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Ho già esposto in più post la mia bassa sopportazione per i
dischi sludge e per il termine stesso. Andando più a fondo nell’argomento come
delle stupide trote dalla bocca aperta, lo sludge è uno di quei generi che
adesso vanno di moda. Fare sludge adesso è un po’ come prendere una sette corde
e tentare qualsiasi tipo di ritmica storta usando solo il SI basso, è un po’
come farsi tagliare i capelli da un cieco, mettersi delle gallerie del vento
sui lobi e una maglia di un qualsiasi gruppaccio metal di bassa lega, un po’
come avere una scarica di adrenalina e schiacciarsi l'acne mentre si scopre che nella propria città
si terrà un concerto dei Five Finger Death Punch. Sono cose che fino a dieci
anni fa non esistevano, o se esistevano erano relegate a un certo tipo di
realtà metallosa e non a tutto il sacrosanto panorama mainstream che ormai
infetta l’etere ed i palchi come una piaga di locuste. Un sacco di gente parla
in giro di fratellanza metallara, e invece secondo me ci sono certi scarti di
musicisti che considerarli parte della scena è come farsi un autogol. Io
davvero non capisco come si possa accettare che musica di certi gruppi mediocri
possa riempire gli eventi o addirittura spalleggiare quella di grandi nomi di
questa musica. Mi ricordo che quando ero un giovine universitario andai a un
festival metalcore dove non so per quale motivo vi partecipavano gli Strapping
Young Lad. Non vi dico quante porcherie mi sono dovuto sorbire solo per
arrivare ai Lad. Oltre a devastarmi le orecchie con i gruppi che li precedevano
dei quali non se ne salvava NEANCHE uno (e parlo di gruppi metalcore parecchio
conosciuti) sono stato attorniato da una manica di ragazzetti dai lobi
allargati, dalla maglietta nera facile, dal capello a spina e dalla orticante
voce gridazzosa che agitavano le braccia a mulinello per scacciare chissà quale
irrefrenabile e rivoluzionaria rabbia adolescenziale. Insomma, all’epoca avevo
solo ventidue anni, ma già potevo vedere la differenza, il mondo del metal era
destinato a cambiare radicalmente. Senza menzionare l’orrenda figura di
Townsend che comunque ha fornito una prestazione ottima, qualcosa mi disse al tempo
che il metal innovativo era destinato a conoscere l’oblio molto presto.
Per fortuna mia e di tutti quelli che ancora scavano a fondo
nell’underground, ci sono gruppi come gli Yob che riescono a proporre delle
cazzo di mazzate psicotiche di prima categoria. Vi ricordate quando ho detto
che lo sludge mi fa cagare? Bè questi forse sono uno dei pochi gruppi recenti
di questo sottogenere che riesce a piacermi. Porco giuda, l’ascolto di “Breathing
from the Shallows” è bastato per farmi pensare di avere un qualche fischio nel
cervello o che uno degli autobus sotto casa mia stesse per esplodere. Chitarre
di potenza devastante hanno un sottofondo di basso e cassa che sembra voler
venire fuori dagli altoparlanti per gridarvi in faccia tutta l’oscurità
infernale, mentre la voce si alterna tra la follia di un pulito stile Candlemass
o Solitude Aeternus, grida e growl cavernicolo con una maestria rara da trovare.
Ovviamente il tutto è condito da distorsioni di ogni tipo, dissonanze ed
effetti disturbanti nel sottofondo. Dove volete scappare? Rifuggiatevi pure
sotto la gonna di mamma Roadrunner, tra le pacifiche, noiose e placide note di
Unto the Locust, perché qui tutto giace nella brutalità di note lente e di
mid-tempo monolitici. In realtà non so neanche se questi tizi si possano
definire sludge, perché sembrano una versione doom dei Mitochondrion (tra l’altro
compari di etichetta). The Great Cessation è composto da cinque tracce dalla
lunghezza media di dieci minuti salvo la title track che arriva ai venti (Giesù!!!),
ma invece di stufare dopo i primi cinque minuti di ascolto, il disco tira fino
alla fine grazie alle variazioni vocali, alle atmosfere ed anche alle strane
melodie che il gruppo riesce a creare. Bisogna anche contare che spesso gli Yob
ricorrono a stacchi in pulito, come nella opener “Burning the Altar”, dove una
chitarra orientaleggiante irrompe nel pezzo placando un attimo gli animi. La
già menzionata title track merita di essere di nuovo tirata in ballo, in quanto
sembra che gli accordi della parte di mezzo colpiscano dritti al cuore,
rendendolo sempre più nero e scuro, facendoci venire in mente giorni di pioggia
e occhiaia, stanchezza e tristezza, emozioni vere espresse da una musica di
difficile ascolto, un’ardua impresa portata a termine con grande maestria.
Di certo questo non è il disco che potete mettere su in una
giornata di sole al parco e di certo non è da ascoltare tutti i giorni o
potrebbe tranquillamente indurvi a mangiarvi del vetro a colazione e questo è l'unico difettino che gli trovo, il fatto di essere forse un po' troppo ostico e che l'ascolto richieda una grande concentrazione per apprezzare a pieno il prodotto (è difficile da spiegare questa cosa, il disco va ascoltato per capire). Gli Yob
riescono a creare della musica di fortissimo impatto emotivo senza ricorrere
alla bestialità di doppie casse o a melodie scontate, questo gruppo fa VERA
musica, una vera esperienza sonora, viaggio di note di quasi un’ora che vi consiglio
di fare appena potete. Sarà come tuffarvi in un mare nero e perdervi nei suoi
fondali, per uscirne fuori senza respiro, o per non uscirne mai più.
Voto:
9 più dei teenagers dalle braccia mulinellose
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