http://www.myspace.com/sulaco
Il Dio Denaro, questo sconosciuto. In realtà sembra che sia un bel timidone e che si faccia vedere solo da alcuni pochi ignoti. Il cerchio interno, lo stivalone peninsulare che passa dal Burlesque al derby, allo yacht pieno di bei culetti estivi e seni illuminati dalla luce solare. Gli altri fuori dalla cerchia interna purtroppo non possono venerarlo, sono come i tizi sbattuti fuori dal tempio che possono solo ammirare con amarezza l'assoluta potenza della grande divinità. C'è poi chi invece di essere proprio al fianco della trinità composta dal suddetto dio, la Madre Mastercard e lo Spirito Express, vi è un po' più sotto. Diciamo su quell'altare dei fanatici aggressivi, il classico invasato che non fa altro che collezionare il cartaceo bene come una gazza ladra in preda ad una carenza di affetto, compra macchine, case, terreni e proprietà e potrebbe tranquillamente ritirarsi ad una vita meditativa o di gran beneficenza. Ma ormai i suoi ingranaggi sono votati a girare solo per lui, per il Dio. Fattura milioni al giorno, ogni giorno è lì nell'ufficio a calcolare scrupolasamente ogni mossa, a sottopagare ogni dipendente in modo da guadagnare quei cento euro in più che comunque terrà lì nel cassetto nascosti, come il padre severo nasconde i biscotti dai suoi figli golosi. A proposito, lui non è un padre, no. Non ha famiglia, la famiglia lo disgusta, è una perdita di tempo e sopratutto... Di denaro. Lo danaro, i soldi, i saccocci pieni di monete in puro stile Gonfaloniere grasso e sporco di lardo.
Negazione.
I figli sono solo dei piccoli robottini meccanici, urlanti sirene nel cuore della notte, la sua notte, le sue uniche ore libere, ore dove il suo cervello si spegne, come se fosse stato comandato da un input proveniente da sfere oscure e inesplorate della sua anima. Lui non ha tempo per questo, lui deve fare soldi. I soldi che poi, quando stramazzerà al suolo ancora prima di raggiungere la vecchiaia e la pace di una pensione che lui si potrà permettere, rimarranno lì nel vuoto siderale, in qualche spaurita banca del paese delle lancette di cioccolata, nella tomba muta e male illuminata di una cassaforte. Con loro vi comunicherà nella morte tramite riti pre-egiziani, per stare sempre a contatto con loro, il suo paradiso personale: contarli e ricontarli. Gioia d'ombra, eterno riposo calcolatore, morte tintinnante.
E noi invece? Noi che siamo fuori dal tempio dorato? Prepariamoci a tempi oscuri, perpetue eclissi solari e profezie Maya così minacciose che tra poco inventeranno una nuova salsa: la Mayanese.
Anche nel folle mondo del metal è così, prendete i Sulaco che sono dei pezzenti come tutti noi. Questi tizi non li conosce nessuno, sono dei barboni di periferia, dei senzatetto senza speranza senza cibo, gente che va alla caritas metallara e che a differenza di Dani Filth non può permettersi i suoi elaborati vestitini e deve fare a pugni per una camcia sporca. Lottano per la sopravvivenza e poi come tutti gli scurisciuti come noi altri, il metallarino dal tatuaggio facile e dall'eccesso di zuccheri andrà in giro per la casa a chiedersi chi cazzo sono i Sulaco...
Erik Burke quando non è in mezzo alla strada. |
Un fan di Erik Burke. |
Inutile dire che tutti gli strumenti nel disco sono suonati con grande capacità, trattandosi comunque di un lavoro molto tecnico. La cosa che ho apprezzato è la scelta della produzione che predilige uno sporco suono vintage ad uno più chiaro e pulito che di solito viene scelto per i dischi più complicati e tecnici. Il tutto rende Build & Burn (ebbene si, mi sono convertito alla & commerciale, sono un traditore!) molto particolare, da una parte abbiamo un concetto di musica abbastanza nuovo ed innovativo, dall'altra un suono quasi antico e privo di artifici o magie musicali. Autentico direi, sembra quasi di ascoltare un disco registrato in diretta. Anche la voce, seppur avendo un ruolo marginale, riesce ad essere interessante, andando da uno scream hardcore con dei tocchi di disperazione in stile Gorguts.
Sono stupefatto di come il disco sia riuscito a non annoiarmi ed a tenermi interessato per tutte le sette tracce che lo compongono. Hanno tutte carattere e sebbene alcune tendano a partire verso tecnicismi a volte eccessivi, la struttura dei pezzi riesce a tenere ed a dare continuità al cambio progressive/hardcore che è l'evidente anima di tutte le tracce. Non ci sono stacchi bruschi che fanno storcere il naso ed anche i passaggi più melodici arrivano al momento giusto e sono introdotti molto bene. Un lavoro davvero difficile che rischia di finire oltre la soglia dell'ascoltabile, ma che in qualche modo prende e trascina nel vortice l'ascoltatore che non può far altro che ripremere play una volta arrivati alla fine. Build and Burn (alla fine la & commerciale mi sta sulle palle e poi è difficile trovarla sulla tastiera...) scorre come un limpido fiume pieno di legna tagliente, non è consigliabile bagnarcisi dentro, ma non si può davvero resistere alla tentazione ed una volta usciti fuori sanguinanti e sorridenti, ci si ributta dentro per subire altre letali, ma piacevoli ferite.
Voto:
9 più un apocalittico tubetto di Mayanese
Nessun commento:
Posta un commento