mercoledì 2 maggio 2012

PEZZENTI TECNICI E RIFFOBARBONI

Sulaco - Build and Burn
 http://www.myspace.com/sulaco

Il Dio Denaro, questo sconosciuto. In realtà sembra che sia un bel timidone e che si faccia vedere solo da alcuni pochi ignoti. Il cerchio interno, lo stivalone peninsulare che passa dal Burlesque al derby, allo yacht pieno di bei culetti estivi e seni illuminati dalla luce solare. Gli altri fuori dalla cerchia interna purtroppo non possono venerarlo, sono come i tizi sbattuti fuori dal tempio che possono solo ammirare con amarezza l'assoluta potenza della grande divinità. C'è poi chi invece di essere proprio al fianco della trinità composta dal suddetto dio, la Madre Mastercard e lo Spirito Express, vi è un po' più sotto. Diciamo su quell'altare dei fanatici aggressivi, il classico invasato che non fa altro che collezionare il cartaceo bene come una gazza ladra in preda ad una carenza di affetto, compra macchine, case, terreni e proprietà e potrebbe tranquillamente ritirarsi ad una vita meditativa o di gran beneficenza. Ma ormai i suoi ingranaggi sono votati a girare solo per lui, per il Dio. Fattura milioni al giorno, ogni giorno è lì nell'ufficio a calcolare scrupolasamente ogni mossa, a sottopagare ogni dipendente in modo da guadagnare quei cento euro in più che comunque terrà lì nel cassetto nascosti, come il padre severo nasconde i biscotti dai suoi figli golosi. A proposito, lui non è un padre, no. Non ha famiglia, la famiglia lo disgusta, è una perdita di tempo e sopratutto... Di denaro. Lo danaro, i soldi, i saccocci pieni di monete in puro stile Gonfaloniere grasso e sporco di lardo.

Negazione.

I figli sono solo dei piccoli robottini meccanici, urlanti sirene nel cuore della notte, la sua notte, le sue uniche ore libere, ore dove il suo cervello si spegne, come se fosse stato comandato da un input proveniente da sfere oscure e inesplorate della sua anima. Lui non ha tempo per questo, lui deve fare soldi. I soldi che poi, quando stramazzerà al suolo ancora prima di raggiungere la vecchiaia e la pace di una pensione che lui si potrà permettere, rimarranno lì nel vuoto siderale, in qualche spaurita banca del paese delle lancette di cioccolata, nella tomba muta e male illuminata di una cassaforte. Con loro vi comunicherà nella morte tramite riti pre-egiziani, per stare sempre a contatto con loro, il suo paradiso personale: contarli e ricontarli. Gioia d'ombra, eterno riposo calcolatore, morte tintinnante.


E noi invece? Noi che siamo fuori dal tempio dorato? Prepariamoci a tempi oscuri, perpetue eclissi solari e profezie Maya così minacciose che tra poco inventeranno una nuova salsa: la Mayanese.
Anche nel folle mondo del metal è così, prendete i Sulaco che sono dei pezzenti come tutti noi. Questi tizi non li conosce nessuno, sono dei barboni di periferia, dei senzatetto senza speranza senza cibo, gente che va alla caritas metallara e che a differenza di Dani Filth non può permettersi i suoi elaborati vestitini e deve fare a pugni per una camcia sporca. Lottano per la sopravvivenza e poi come tutti gli scurisciuti come noi altri, il metallarino dal tatuaggio facile e dall'eccesso di zuccheri andrà in giro per la casa a chiedersi chi cazzo sono i Sulaco...


Erik Burke quando non è in mezzo alla strada.
Argh! Sappiate che sono il progetto più tecnico e malato di Erik Burke dei Brutal Truth, un rispettato barbone di New York che calca i palchi a piedi nudi. Il primo disco di questo gruppo non è proprio una perla memorabile, devo dire di non essere riuscito ad apprezzare granchè del loro Tearing Through the Roots. Note su note che facevano eco alla roccia matematica (traduzione letterale) e ad un progressive non ben definito. Li avevo completamente ignorati fino a pochi mesi fa, quando mi è capitato di ascoltare il loro nuovo Build & Burn... O Build and Burn... Ci sono diverse scuole di pensiero, ma vi assicuro che sono ambedue piuttosto pedanti, quindi scegliete bene tra la & commerciale e la and inglese. In qualunque modo lo chiamate, sappiate che appena avvierete questo disco verrete travolti da ogni tipo di follia tecnica, tempi dispari, sincopati e stoppati vertigionosi. Lavoro intricatissimo, si parte con il blast iniziale di "On The Fence" che poi si intreccia con un riff rimandante alla scena hardcore newyorkese, per incontrare infine alcuni rimandi Mastodoniani (anche loro... Che brutta fine!) per poi riprendere i riff nelle maniere più disparate ed intrecciandoli tra loro. Pazzesco. La title track è un mid tempo malefico invaso da metriche aliene e da giri di chitarra che ai più ricorderanno i mitici Atheist, il pezzo in questione finisce con un paio di  fantastici giri, uno melodico dove il cantante si dispera per non so cosa ed uno un po' più tosto dove una
Un fan di Erik Burke.
batteria in levare vi farà saltare la testolina, quindi tenetevela ben ferma con ambedue le mani. Io vi ho avvisato. "Dingy Metropolis", la mia traccia preferita, mischia perfettamente le idee più hardcore a quelle più progressive della band, partendo con tecnicismi e voli pindarici per finire su una serie di riff più lenti che ci faranno rendere conto di essere ormai arrivati al capolinea e di dover comprare un nuovo guardaroba fatto di sole camicie di forza. "Corridor" invece cercherà di estraniarvi, andando tra giri psichedelici e martellate quasi alla Obituary, facendo sentire che le influenze del gruppo sono sicuramente della vecchia scuola (fortunatamente...). "Make a Move" è la traccia più tecnica e notereccia. Qui i giri di chitarra si rifiutano categoricamente di finire sulle powerchord se non in rari casi, dove il chitarrista si ricorda che le dita hanno delle ossa che si possono rompere e le fa riposare. Poi vabbè, ci si mette anche il basso a folleggiare con la chitarra, in un'ottima parte centrale assolutamente progressive che poi prosegue in un crescendo strumentale che alla fine viene ripreso ed amplificato in un terrore tecnico di rara potenza. Da apprezzare anche un po' un ritorno a riff più vecchia scuola di "It's Over Johnny", la traccia finale che sembra quasi un pezzo death americano dei tempi andati, ma che intreccia alcune melodie in modo molto personale per poi andare verso la follia riffosa totale, tra un lead di chitarra melodico quasi doom e giri di chitarra intricatissimi.

Inutile dire che tutti gli strumenti nel disco sono suonati con grande capacità, trattandosi comunque di un lavoro molto tecnico. La cosa che ho apprezzato è la scelta della produzione che predilige uno sporco suono vintage ad uno più chiaro e pulito che di solito viene scelto per i dischi più complicati e tecnici. Il tutto rende Build & Burn (ebbene si, mi sono convertito alla & commerciale, sono un traditore!) molto particolare, da una parte abbiamo un concetto di musica abbastanza nuovo ed innovativo, dall'altra un suono quasi antico e privo di artifici o magie musicali. Autentico direi, sembra quasi di ascoltare un disco registrato in diretta. Anche la voce, seppur avendo un ruolo marginale, riesce ad essere interessante, andando da uno scream hardcore con dei tocchi di disperazione in stile Gorguts.

Sono stupefatto di come il disco sia riuscito a non annoiarmi ed a tenermi interessato per tutte le sette tracce che lo compongono. Hanno tutte carattere e sebbene alcune tendano a partire verso tecnicismi a volte eccessivi, la struttura dei pezzi riesce a tenere ed a dare continuità al cambio progressive/hardcore che è l'evidente anima di tutte le tracce. Non ci sono stacchi bruschi che fanno storcere il naso ed anche i passaggi più melodici arrivano al momento giusto e sono introdotti molto bene. Un lavoro davvero difficile che rischia di finire oltre la soglia dell'ascoltabile, ma che in qualche modo prende e trascina nel vortice l'ascoltatore che non può far altro che ripremere play una volta arrivati alla fine. Build and Burn (alla fine la & commerciale mi sta sulle palle e poi è difficile trovarla sulla tastiera...) scorre come un limpido fiume pieno di legna tagliente, non è consigliabile bagnarcisi dentro, ma non si può davvero resistere alla tentazione ed una volta usciti fuori sanguinanti e sorridenti, ci si ributta dentro per subire altre letali, ma piacevoli ferite.

Voto:

9 più un apocalittico tubetto di Mayanese

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